Critiche
Pittura amica, pittura compagna di viaggio e di vita quella di Scialpi, riflessi e sguardi, forme e colori, pensieri e ombre per configurare e dare unità visiva alle mille evidenze che un sensibilità acuita coma la sua elabora e trasforma, per essere poi proposta con una pittura che non si può guardare senza speranza e senza angoscia. Dialoghi cromatici, feste silenziose, delusioni e confidenti memorie raccontano, con l'impiego del colore materico e istintivo, del suo temperamento forte, dell'autonomia delle scelte di quella naturale tensione ad un'espressione libera basata sull'audacia del disegno, sulla significanza del colore e sulla consistenza dello spazio e della materia pittorica.
Sono forse questi i segni che hanno portato i suoi critici ad assestarla in una corrente "espressionista esistenziale" dove 2 campiture nette, ma larghe e suadenti, sottolineano spontaneità nel piglio e nel taglio delle strutture e delle luci.
Pur negli squilli alti e persuasivi dei colori, Scialpi sommuove una sinfonia di toni cupi, violenti e fortemente interiorizzati: gli oggetti, i frutti, le cose che "pesano" per le sue "nature morte" intessono fra loro dialoghi fitti e ravvicinati, dai quali affiora una luce virtuale che pare generata dai loro stessi colori, senza arrivare mai da un altrove fisico.
Scialpi possiede le sue radici artistico-culturali che l'hanno spronata e incoraggiata a scelte personali che, privilegiando una rappresentazione nè minuta, nè sommaria, nè illusiva si può permettere una configurazione di estrema pregnanza, intensificando lo "spettacolo" rappresentato con un accenno di allegoria alla significanza dell'esistenza stessa. Con una scansione quali cubista dei piani, la pittura di Scialpi si allea, senza contrasto, ad una rappresentazione forte e fiera della materia che, con i colori mediterranei, genera ombre implacabili, più dense della stessa materia cromatica. Certi grappoli d'uva certificano una forte ripresa formale: hanno acini scuri, bistrati come gli occhi di femmine orientali o acini e calcinosi come i muri delle case: quando il vero di Scialpi è il più vero, è di memoria: le scende nel pennello col mesto accento del paese natio, dell'infanzia, dando ragione ad un fondo autentico rovesciato sulla tela con olio e amore insieme, ma senza mai blandirlo, senza ripudiarlo mai. E' in questo riporto del passato che i suoi oggetti riescono ad accentuarsi dal contesto esistenziale, è allora che perdono il naturalismo e si presentano all'approdo scabro della forma nuda, avvolti appena da toni aspri, acidi o bollenti come cera lacca fusa.
Con intenti espressionistici evidenti.
Poi ci sono i ritratti: e qui la qualità pittorica si sovrappone e aderisce ad un convulso e riottoso modo d'amare: l'artista pare voler riassumere in uno slancio controllato tutti i sentimenti che la pervadono, tutte le connotazioni effettive, in una gamma stregata di memorie e di abbandoni. Eccoli i familiari, in fila sotto il fuoco del suo occhio rapace, ecco i bambini di casa, raddolciti da pose di grazia naturale, che decantano i toni vividi e allegramente contrastanti e le figure femminili sole, che liberate dall'obbligo dell'assomiglianza, possono esprimere altro da sè e diventare tramite per spericolate ricerche cromatiche e formali che rivelino, al di fuori di ogni retorica, il desiderio insopprimibile di trovare un proprio spazio sconvolto e sovrapposto che le connotino in una pienezza tonda da mezzogiorno o con gli ori sanguigni dei tramonti della sua ionica terra d'origine.
La comunicazione attraverso l'arte contempla la guarigione da molte pene dell'animo e da quei pensieri che, innestandosi sul quotidiano, possono ridurre disagi: poi lo sguardo attento sulle cose diventa esame della natura stessa e il colore si fa sensibilità, immaginazione, sogno. Pare che nulla resista al suo sguardo, imprigionando le cose viste in un contorno disegnato.
E' così che Scialpi costruisce il suo universo: la natura diventa il risultato della sua attenzione, dell'intenzione delle sue manualità e dell'intensità delle sue scelte: il sapore vero della conquista accende accordi, equilibri, sogni. Niente più commovente di questa soggettività che canta, in un'astrazione individualizzata capace di provocare la felicità di una nuova fioritura d'immagini. Qualunque esse siano.
Pesaro, febbraio 2009
(IVANA BALDASSARRI)





